Marina Nemat – L’Iran e la libertà
Incontro con Marina Nemat
scrittrice, dissidente, esule iraniana
18-19 aprile 2011
Udine e Pordenone
Imprigionata appena sedicenne, dopo due anni passati nel carcere di Evin in Iran,nel corso dei quali è stata sottoposta a torture, continui interrogatori, violenze e abusi sessuali, con una condanna a morte a gravarle sulla testa, a Marina Nemat si pone un’unica scelta: la vita in cambio di una relazione amorosa con uno dei suoi carcerieri. La Nemat nasce a Teheran nel 1965 da famiglia cristiana armena; sul finire degli anni settanta vede con occhi di bambina la rivoluzione che scoppia per le strade della sua città contro lo Shah di Persia; vive la rivoluzione islamica, fino a quando un giorno a scuola si alza in piedi e chiede al professore di matematica di spiegare il calcolo matematico invece che proseguire con la propaganda. La condanna arriva poco dopo. Una volta uscita dal carcere come da accordi sposa Ali Moosavi. Dopo la morte di quest’ultimo conosce il suo attuale marito e fugge in Canada. Ci vorranno oltre dieci anni prima di arrivare all’elaborazione della violenza attraverso la scrittura. Nascono così i suoi due romanzi Prigioniera di Teheran (Cairo) e Dopo Teheran. Storia di una rinascita (Cairo). Il primo libro è tradotto in tredici lingue e oggi Marina Nemat viaggia in tutto il mondo per raccontare la propria esperienza, per descrivere la vita nel proprio paese, ma soprattutto per divenire testimone di come ogni violenza serbi la tentazione del vittimismo che non è mai risposta intellettuale né per la vita. Suoi interventi in questa direzione sono contenuti nei volumi monografici “La libertà” e “La democrazia” editi da Spirali. Marina Nemat, una delle più note scrittrici iraniane in Occidente, sarà a Udine e a Pordenone dal 18 al 19 aprile. Presenterà in questa occasione i suoi romanzi e parlerà della questione donna nel mondo arabo musulmano e nel mondo occidentale. Invitata dall’associazione “la cifra” di Pordenone, con la collaborazione di FriulAdria Crédit Agricole e del Comitato Neda Day, l’autrice parlerà dei suoi libri e della sua esperienza in una conversazione con Antonella Silvestrini a Udine lunedì 18 aprile alle 18 alla libreria Feltrinelli e a Pordenone martedì 19 alle 20,45 a palazzo Montereale Mantica. La mattina del 19, inoltre, incontrerà studenti delle scuole superiori di Pordenone.
Segnaliamo in nota un breve estratto da un intervento tenuto dalla Nemat nel 2008:
Lo ricordo molto chiaramente: alzai la mano e chiesi all’insegnante di calcolo: “Perché non insegni il calcolo invece della propaganda?”. Rispose: “Se non ti piace quello che insegno, vattene”. Allora, raccolsi i miei libri e uscii, seguita dalla maggior parte della classe. Fu l’inizio di uno sciopero che durò tre giorni. Diventai una leader. Era qualcosa di molto semplice, non c’era nessuna ideologia dietro: ero una ragazza di quattordici anni che cercava di combattere per i propri diritti. E una ragazza di quattordici anni, come anche voi sapete, pensa di essere invincibile. Lo pensavo anch’io, finché vennero a prendermi e mi portarono in prigione. […] Essenzialmente, la scuola superiore era un inferno e nel carcere di Evin vigeva la regola che quando ti arrestavano poi ti interrogavano. Se non collaboravi, o se pensavano che non collaborassi, ti portavano in una stanza. È quello che fecero a me. Mi legarono a un letto di legno e, mentre giacevo prona, incominciarono a frustare le piante dei miei piedi. Ho tentato di spiegare quello che ho provato nel mio libro, una biografia della mia vita in Iran. Ma come si può spiegare il dolore a qualcuno che non sa che cosa sia? Come si fa? È impossibile. Tortura ed esecuzioni di giovani erano la normalità nel carcere di Evin in quegli anni, ed è ancora così. […] Infine, fui costretta a sposare uno dei miei inquisitori. Essenzialmente, si trattò di uno stupro legalizzato. Cosa faresti se a diciassette anni il tuo inquisitore ti dicesse “se non diventerò il tuo ragazzo, arresterò i tuoi genitori”? È sorprendente, ma a Evin fondamentalmente mi trovavo in due carceri: una era rappresentata dalle mura che mi circondavano e che mi separavano dalla mia famiglia, l’altra era la prigione della mia vergogna non soltanto di essere diventata prigioniera politica ed essere stata torturata e così via, ma anche perché mi trovavo in questa strana relazione, se così si può chiamare, con il mio inquisitore.
Tratto dal volume La libertà, Spirali, pp. 96-98